Noi filologi
Friedrich Nietzsche (1844-1900) galleggia dentro ricordi più o meno scolastici per opere dal titolo fascinoso (come, per esempio, Così parlò Zarathustra del 1883-85, o Al di là del bene e del male del 1886); opere la cui lettura integrale può agevolmente essere abbordata solo da chi possiede una sperimentata ed acuta duttilità mentale, perché, come ha scritto Armando Torno sul Corriere della Sera del 5 settembre 2010 (p. 29), anche i “più accreditati esegeti amano ripetere che Nietzsche è autore difficile” tanto che “non bisogna cercare di capirlo, giacché non è riducibile”. E tuttavia la sua figura e la sua vulcanica ribellione contro tutto ciò che è convenzionale, continuano ad attrarre o a sgomentare. C’è, però, una sua opera (o, meglio, una “non-opera” perché si tratta di lampi di intuizioni slegate) che può essere abbordata da tutti, se non altro per gustare in diretta un fremente impasto di demolizioni sbalorditive e di ardue ma esaltanti prospettive. Si tratta di Noi filologi (Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2010, pp. 190): una serie di circa 200 “frammenti” o “appunti” di un lavoro ideato attorno al 1875 e non concluso, con il quale Nietzsche si proponeva di “suscitare completa inimicizia fra la nostra attuale ‘cultura’ e l’antichità”, sostenendo che chi “vuole servire la prima deve detestare la seconda”. Ed invece sono stati due coniugi di Parma, ex docenti di storia e filosofia, lei nello Scientifico “Marconi e lui nel Classico “Romagnosi”, Carla Marcella Tenti e Aldo Monti, in un certo senso a sanare il conflitto nietzschiano tra attualità e antichità proponendo allo studioso, ma anche al semplice curioso d’oggi, un testo di solito trascurato e quasi introvabile in una accessibile traduzione moderna, e lo fanno partendo dall’originale tedesco e cesellando in limpido italiano ogni folgorazione del filologo Nietzsche convertito alla filosofia. Si è detto delle demolizioni sbalorditive; eccone alcune: l’altruismo? L’esistere l’uno per l’altro “è la più comica delle commedie” ed è “dell’uomo libero vivere per se stesso e non in vista degli altri”. E il vero filologo? E’ “scettico nei confronti di tutta la nostra civiltà, e quindi annientatore della classe dei filologi”, perchè essi sono “chiacchieroni e gingilloni”, “meschini pedanti”, “cavillatori e allocchi”, “ardenti schiavi dello Stato” ed anche “maledetti cristiani”. Stolta è poi la tradizionale ammirazione per Aristotele, perché “non capiva nulla dell’arte” e quanto c’è da ammirare in lui altro non è che “l’eco delle assennate conversazioni degli ateniesi”. E le prospettive? Compaiono qua e là, magari per vagheggiare l'”uomo bello, temperante e attivo” che è “colui che plasma attorno a sé qualcosa di bello, che è per lui modello”, oppure per proporre una educazione che è “prima di tutto sapienza del necessario, secondariamente del mutevole e del modificabile”, si traduce in “amore creativo” ed espressione di tale amore è l’opera d’arte “che va oltre noi stessi”. La novità in ogni futura attività del mondo consisterà nel fatto che gli uomini non saranno più dominati attraverso le credenze religiose, anche perché il “timore dell’aldilà e, in genere, il timore del castigo divino, non ha certo reso migliori gli uomini”. Come è ovvio, qui si sono proposti solo alcuni spunti desumibili dal vertiginoso flusso dei pensieri di Nietzsche e rimangono dolentemente inadeguati a renderne la variegata potenza e la sottile suggestività. Inoltre rimangono del tutto avulsi dalla labirintica trama del pensiero del filosofo, all’interno della quale, però conducono, dipanandola con accorta terminologia tecnica, i vasti e densi saggi introduttivi: quello di Claudio Mutti sulla conversione di Nietzsche “dalla filologia alla filosofia” (pp. 7-18), quello di Carla Marcella Tenti che percorre i meandri nietzschiani “per una filologia dell’avvenire” (pp. 19-68) e quello di Aldo Monti (pp. 69-96) che legge nella “filologia radicale di Nietzsche” l'”insofferenza, il fastidio e l’inquietudine nei confronti di un sapere che […] sottraeva la vita all’esercizio della propria utilità, ovvero, ‘[…] al piacere della conoscenza, all’utilità delle cose conosciute'”. Ed in effetti quest’opera/non-opera di Nietzsche, con le sferzate inferte alle sovrastrutture di una conoscenza acritica, può dare una mano a rivitalizzare il piacere della conoscenza ed a ridonare effettiva utilità alle cose conosciute.
(LUNGO LE TRACCE DEL PENSIERO, “Gazzetta di Parma”, Mercoledì 2 Marzo 2011)