Simbolismo e arte sacra
Benedetto Antelami, misterioso artista affiliato a una corporazione di costruttori che aveva custodito il retaggio dei collegia fabrorum romani, ha lasciato nel Battistero di Parma una testimonianza della spiritualità di cui era portatrice l’arte muratoria del Medio Evo. In questo saggio si intende decifrare, sulla base di un codice simbolico di cui viene a mano a mano mostrata l’universalità, lo zooforo del Battistero di Parma, cioè quella serie di settantanove figure (e anche di questo numero l’autore cerca di dare una ragione) che circonda l’edificio sacro. La lettura di tale sequela di figure – nella quale si avvicendano, in una ridda fantastica, animali e mostri – costituisce, secondo l’autore, “un viaggio iniziatico attraverso il cosmo… un pellegrinaggio spirituale verso la Terra Santa”. Nel corso di tale viaggio, che si conclude con quel medesimo simbolo del Veltro che apparirà un secolo più tardi nella predizione dantesca, incontriamo le immagini della lonza, del leone e della lupa, animali che cercheranno di ostacolare il cammino iniziatico del nostro maggiore Poeta; incontriamo l’uomo, il leone, il vitello e l’aquila, simboli dei quattro evangelisti, ma anche, in tradizioni non cristiane, delle quattro direzioni dello spazio; Ercole e l’asino, emblemi di due forze che si scontrano in una battaglia di cui viene messo in luce il significato sul piano storico: lo scontro fra ghibellinismo e guelfismo. Nel medesimo contesto l’autore spiega il senso della formella raffigurante la Fides, cui si accompagnano la Pace e la Giustizia: l’applicazione storico-politica di tali simboli ci parlerebbe della riconnessione del ghibellinismo medioevale alla tradizione primordiale, cosicché le figure della Pace e della Giustizia dovrebbero essere intese quali attributi della funzione imperiale. Riteniamo, in conclusione, che questo saggio possa dischiudere nuove prospettive e nuove possibilità agli studiosi di storia e d’arte locali, i quali saranno stimolati a cercare il significato di opere che ci parlano continuamente col linguaggio universale dei simboli.
(“Parmamese”, ottobre 1978)