Berenice
Robert Brasillach scrisse la tragedia Berenice, in cinque atti, nel 1940; ed essa costituisce il tramite tra i romanzi giovanili e gli scritti del carcere. Nelle pagine di Berenice emerge quel senso tragico dell’esistenza che fu uno dei connotati del fascismo (…) In Berenice, ricalcata sulla leggenda dell’infelice amore dell’imperatore Tito e della regina ebrea di Cesarea che dà il nome alla tragedia, Brasillach inserisce tra i due un terzo personaggio, Paolino, che rappresenta la voce di una nuova giovinezza, una “gioventù dura, spartana, virile, eroica”. La voce del combattente che crede che “i giovani dell’Impero siano dediti soltanto al catechismo imperiale e ai pugnali eroicamente istoriati”, che si frappone tra il suo imperatore e la straniera Berenice allontanandoli in nome di Roma. (…) Alla fine è l’imperatore a decretare il verdetto: “non posso essere felice contro il mio popolo”; la vittoria spetterà alla “giovinezza”.
(“La Contea”, IV, 28-29, giugno-luglio 1987 )
L’antisemitismo apparente dal contesto è rifluito nel testo, ma come splendida sponda tra piacere e dovere, tra sole ed ombra dell’essere e del sentire, del voler sembrare e del sentirsi apparire, in una poesia di equilibri tra “testo” e “scena”, tra dialogo letterarizzato e racconto ideologico.
(“Letteratura – Tradizione”, marzo-maggio 1998)