Eurasia 1-2006
Editoriale
L’equilibrio del pianeta passa per la Cina (Tiberio Graziani)
Eurasiatismo
La funzione eurasiatica degli Unni (Franz Altheim)
Pound contra Huntington (Claudio Mutti)
Il bodhisattva ungherese (Claudio Mutti)
Csoma de Koros (Giuseppe Tucci)
Dossario: Cina
La Cina e la guerra ventura (Yves Bataille)
Panoramica sulla Cina (Aldo Braccio)
Contributo alla comprensione dell’evoluzione della “via cinese al socialismo” (Massimiliano Carminati)
L’impero di Mezzo è già in Italia (Luca Donadei)
Il Celeste Impero e la Mezzaluna (Enrico Galoppini)
Dialogo di civiltà tra India e Cina (Hu YePing)
Ritorno a Confucio? (Costanzo Preve)
La sfida eurasiatica parte da Shanghai (Daniele Scalea)
Il Tao e l’Islam (Tahir de la Nive)
Spazio della Cina e Cina dello spazio (Serge Thion)
Il potenziale militare della Cina (Antonio Venier)
La spina tibetana (Stefano Vernole)
Interviste
Claudio Alemagna, topografo, cooperatore ONG (Claudio Mutti)
Fabio Mini, generale di Corpo d’Armata (Andrea Chiovenda)
Sergio Romano, storico, ex diplomatico (Tiberio Graziani)
Lorenzo Trombetta, analista e studioso del Vicino oriente contemporaneo (Enrico Galoppini)
Recensioni e Postille
Il significato di “civiltà” nelle relazioni geopolitiche e la rimozione di Marx ed Engels (Giovanni Armillotta)
Viaggio nella terra di mezzo (Aldo Braccio)
La forza delle parole. Il limes linguistico israeliano/palestinese (Marco Hamam)
Credenze religiose della Cina antica di Eduard Erkes (Claudio Mutti)
I chierici alla guerra di Angelo D’Orsi (Costanzo Preve)
Vincere la paura di Magdi Allam (Costanzo Preve)
Controstoria del liberalismo di Domenico Losurdo (Costanzo Preve)
Cecenia e Russia. Storia e mito del Caucaso ribelle di Francesco Vietti (Federico Roberti)
Lev Nikolaevic Gumilev di M. Conserva e V. Levant (Daniele Scalea)
Documenti
Discorso del presidente bielorusso, Aleksandr Lukashenko, in occasione dell’anniversario della fondazione dell’ONU
Dichiarazione di Russia e Cina sull’ordine internazionale del XXI secolo
Discorso del presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad, alla conferenza “Un mondo senza sionismo”
L’Impero eurasiatico del Centro
EURASIA. RIVISTA DI STUDI GEOPOLITICI
Anno III – Numero 1
Gennaio-marzo 2006
La crescita economica della Cina è ben nota, così come rimane ancora sconosciuto e probabilmente incerto l’effetto di tale crescita nei campi politico e militare (geostrategico). Che cosa significa questo sviluppo nel contesto dell’Eurasia e come viene visto in una prospettiva storica e tradizionale che non sia quella delle correnti d’opinione occidentali? Tale interrogativo costituisce il tema dominante di questo ponderoso numero di “Eurasia” che è il primo del 2006 ed è già il quinto di tutta la serie; in 256 pagine, esso contiene 31 contributi, dei quali solo alcuni verranno qui di seguito presentati.
La risposta principale all’interrogativo di cui sopra viene fornita dal direttore della rivista, Tiberio Graziani, già nel titolo stesso del suo editoriale: L’equilibrio del pianeta passa per Pechino. La Cina è tradizionalmente considerata come l’Impero del Centro; dopo l’innaturale e dualistico periodo della “guerra fredda”, quando la Cina cercò di controbilanciare le due superpotenze rimanendo però alla periferia del sistema mondiale, e dopo l’ancor più innaturale (e probabilmente molto breve) periodo dominato dalla superpotenza statunitense, un nuovo equilibrio mondiale basato su un ordine multipolare potrà essere instaurato e mantenuto con il concorso del sistema di Pechino, non contro di esso. Non si tratta soltanto di una questione economica e militare, ma di popolazione e di territorio, sia sotto il profilo quantitativo sia sotto quello qualitativo. Le dimensioni territoriali sono ovvie, ma è anche la qualità strategica che bisogna prendere in considerazione, e ciò non può avvenire semplicemente dal punto di vista di classici della geopolitica come Haushofer o Jordis von Lohausen, ma anche dalla prospettiva del pensiero cinese, sicché è veramente un fatto notevole che “Eurasia” faccia parlare autori che dispongono di entrambe le qualificazioni.
Uno di questi è Serge Thion, un sociologo esperto di questione dell’Asia orientale (Spazio della Cina e Cina dello spazio). Thion riflette sullo sviluppo cinese dalla fase imperiale alla lotta comunista nella guerra civile all’attuale periodo di espansione capitalistica, nonché sull’interazione della Cina coi paesi vicini.
Uno degli aspetti della potenza cinese è l’enorme potenziale militare, di cui tratta Antonio Venier (Il potenziale militare cinese) e su cui si sofferma anche Yves Bataille in alcune parti del lungo articolo intitolato La Cina e la guerra ventura. Quest’ultimo esamina la dottrina militare cinese e delinea uno scenario di guerra fredda tra gli Stati Uniti e la Cina, in cui la questione centrale è la seguente: le altre potenze eurasiatiche si schiereranno a fianco della Cina o la strategia statunitense del divide et impera verrà applicata con successo su vasta scala? Una tale intrusione nelle faccende asiatiche è ostacolata, per il momento, dall’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (OCS), che viene considerata dall’autore in questo contesto. L’OCS è anche l’argomento specifico di uno studio di Daniele Scalea, che già nel titolo (La sfida eurasiatica parte da Shanghai) parla di una sfida agli USA: la sfida oggettivamente costituita da una collaborazione sopranazionale che, a differenza di NATO, ASEAN, NAFTA ecc., esclude la partecipazione statunitense.
Com’è che la Cina è arrivata al punto in cui si trova? Percorrendo la “via cinese al socialismo”, per quanto tale via possa apparire strana a chi conosca solo l’attualità ma ignori tutto della storia cinese. Non è comunque una via molto strana, se si considera che dietro la fraseologia apparentemente marxista di Mao ci sono gli eterni principi del pensiero cinese. Su questo argomento è Massimiliano Carminati a presentare un particolareggiato studio storico.
Da parte sua, il noto esperto di storia del marxismo Costanzo Preve interviene con un saggio più filosofico che storico. Dopo un voegeliniano “originario stato di indistinzione fra il macrocosmo naturale ed il microcosmo sociale”, dice Preve, con lo sviluppo delle contraddizioni economiche della società capitalistica la questione delle contraddizioni diventa un problema filosofico-politico, un problema che Mao Tse Tung ha affrontato in una delle sue opere teoretiche più famose, Sulla contraddizione. Preve presenta la teoria di Mao sulla contraddizione evidenziando la differenza con la concezione confuciana classica; ma alla fine egli prospetta un ritorno della Cina a Confucio, benché tale concetto sia espresso in termini problematici fin dal titolo stesso (Ritorno a Confucio?)
Nella saggezza confuciana molti filosofi e poeti europei hanno individuato una verità universale, mentre altri “pensatori” hanno cercato di stabilire una inevitabile opposizione tra le grandi civiltà mondiali, tra le quali rientra per l’appunto quella confuciana. Tale diversità di prospettiva è rappresentata, secondo Claudio Mutti, da Ezra Pound e da Samuel Huntington (Pound contra Huntington), poiché l’opera del primo si collocherebbe agli antipodi del paradigma del clash of civilisations. Infatti il famoso poeta, che per essersi opposto alla “crociata” statunitense del ventesimo secolo venne rinchiuso prima in una gabbia per animali e poi in un manicomio, fu grandemente influenzato dal pensiero cinese, specialmente da Confucio, ma anche dalla scrittura ideogrammatica cinese. D’altra parte, nella sua lotta letteraria contro l’Usura, Pound riconobbe il valore dei dettami della Sciaria islamica in materia di economia, dettami che egli vide applicati nelle monete d’oro e d’argento fatte coniare dal Califfo Abd el-Malik. È così che sia Confucio sia Abd el-Malik hanno trovato posto nei Cantos.
Qui va citato anche il contributo di Tahir de la Nive, un esponente dell’Islam europeo, benché non il Confucianesimo, ma il Taoismo sia il suo punto di riferimento nel mettere a paragone, sulle tracce di René Guénon, l’Islam e la tradizione estremo-orientale. L’articolo L’Islam e il Tao mostra come nozioni fondamentali dell’Islam possano trovare i loro rispettivi equivalenti nel Taoismo, e viceversa. Per esempio, tanto la città imperiale cinese quanto la Caaba di Mecca rappresentano la connessione tra il Cielo e la Terra. Ma anche la nozione di “Via” (in cinese, per l’appunto, tao) occupa un luogo centrale nel Messaggio coranico.
Un lungo studio di Enrico Galoppini, docente di storia islamica, presenta l’incontro fra Il Celeste Impero e la Mezzaluna. Dall’occupazione cinese dello Xinjiang, patria degli Uiguri musulmani, si arriva all’epoca attuale. Dopo l’11 settembre i problemi legati a questa provincia, non particolarmente densa sotto il profilo demografico ma territorialmente estesa, hanno indotto il governo a dichiarare la sua “guerra al terrorismo”. Galoppini condivide l’opinione secondo cui le tendenze degli Uiguri all’indipendenza non procederebbero tanto da motivi religiosi, quanto da cause etniche.
Un diverso dialogo tra civiltà deve essere intrapreso sul versante meridionale della Cina, là dove questo paese si avvicina all’India. La popolazione indiana è in gran parte musulmana, ma Hu Yeping (Dialogo di civiltà fra India e Cina) si appella all’esempio buddhista. Come è noto, il buddhismo fiorì in India solo per un breve periodo, ma conquistò i paesi confinanti. Oggi però l’influenza buddhista in Cina potrebbe aiutare a comprendere la civiltà indiana, dalla quale esso ebbe origine.
La violenta occupazione e la sottomissione del Tibet buddhista da parte dell’esercito cinese è per Stefano Vernole La “spina” tibetana nella carne dell’impero cinese. Dopo un excursus storico sulle relazioni cino-tibetane, l’autore correttamente mostra come la strategia statunitense del divide et impera nel continente eurasiatico abbia cercato di utilizzare il Tibet come uno strumento contro la Cina (senza molto successo, a quanto pare). Vi sono segni di normalizzazione, come si evince dalla panoramica della situazione attuale presentata da Vernole; A parer nostro, però, la tattica di Pechino consiste semplicemente nell’aspettare la morte dell’attuale (possibilmente ultimo) Dalai Lama, accelerando contemporaneamente l’infiltrazione demografica ed economica cinese in questa civiltà tradizionale. Si può intravedere all’orizzonte la fine della civiltà tibetana in Tibet, e questa sarà una grande perdita per il continente eurasiatico. D’altro canto, la cultura tibetana ha iniziato una marcia trionfale in Occidente, rendendo possibile la pratica del buddhismo tibetano (o di qualcosa che gli somiglia) in molte città europee.
Come quasi tutte le comunità asiatiche, anche quella cinese è presente in Europa per effetto della globalizzazione. Luca Donadei, esamina il caso specifico dei Cinesi nella penisola italiana e, senza nascondere i problemi connessi a questa particolare presenza, giunge all’ovvia conclusione secondo cui L’Impero di Mezzo è già in Italia.
Solo qualche decennio fa, e ancora di più negli ultimi secoli, l’Oriente, se osservato dalla prospettiva europea, sembrava molto più lontano ed esotico. Uno dei pionieri della “scoperta” europea dell’Asia orientale fu il transilvano Alessandro Csoma de Körös (nato nel 1784); il testo di una conferenza pronunciata in suo onore sessantacinque anni fa dal famoso orientalista Giuseppe Tucci si trova riprodotto in questo stesso fascicolo di “Eurasia” e viene accompagnato da una biografia di questo Bodhisattva ungherese redatta da Claudio Mutti. Csoma de Körös viaggiò dalla Transilvania fino al Tibet e all’India orientale. Il suo scopo era di recarsi nel bacino del Tarim tra gli Uiguri, che secondo lui erano i “parenti asiatici dei Magiari”.
I Magiari non furono l’unico popolo che dall’Asia venne a stanziarsi in Europa; un altro popolo affine ai Magiari che per un certo periodo occupò una vasta parte del territorio europeo fu quello degli Unni, un popolo demonizzato quanto altri mai. Della Funzione eurasiatica degli Unni ci parla un breve testo dello studioso tedesco Franz Altheim, esperto del culto solare importato a Roma dai Severi e delle interconnessioni che nell’ultima fase dell’età antica si intrecciarono tra popoli di diversa origine.
La storia dell’Asia Centrale e quella dell’Europa si sono intrecciate per un lungo periodo, mentre altri popoli, come ad esempio gli Arabi, hanno sviluppato ulteriormente queste relazioni. Il mistero dell’invisibile regno di Agarttha, che riflette la propria immagine nelle città visibili simboleggianti il centro dell’universo e il punto di contatto tra cielo e terra (Pechino, Gerusalemme/Al-Quds, Roma ecc.), ci suggerisce la grande importanza che si connette alla restaurazione di un equilibrio tra le civiltà eurasiatiche. Tali civiltà non sono destinate a scontrarsi, bensì a scambiarsi contributi reciproci e a respingere il nemico comune. Si tratta di un nemico che è del tutto alieno a questo grande spazio e, mentre tenta di sfruttare le differenze tra tipi di civiltà tradizionale tutto sommato analoghi, fa di tutto per nascondere la fondamentale diversità che contrappone le culture eurasiatiche al sistema globale di Mammona e a quella inciviltà che costituisce la way of life dell’intruso.
Martin A. Schwarz