Filosofia e Geopolitica
L’Autore di questo libro – che i lettori senz’altro conosceranno come assiduo collaboratore di “Eurasia” – è un filosofo d’orientamento marxista, il quale ha voluto abbandonare ogni preconcetto suggeritogli dal duplice carattere della sua formazione contro la geopolitica. Preve ha preso atto della svolta epocale determinata dal crollo dell’Unione Sovietica – che rappresentò, nel contempo, la fine del comunismo storico e l’inaugurazione dell’unipolarismo geopolitico -, e ha deciso d’affrontare le sfide del nuovo secolo e del nuovo millennio accettando anche strumenti estranei alla sua precedente esperienza teorica. Egli stesso ha confessato di «attribuire soggettivamente una certa importanza» a questo saggio, dal momento che – mi permetto d’interpretare il suo pensiero – esso simboleggia (e motiva a chiare lettere) il riconoscimento da parte dell’Autore della geopolitica come scienza funzionale alla comprensione della realtà, e dell’eurasiatismo come risposta geopolitica alle numerose questioni imposte dal nuovo ordine mondiale unipolare. La presenza di tale scelta aleggia in ogni pagina del saggio, per via del pesante significato ch’essa può assumere nello scenario politico europeo (e italiano in particolare) contemporaneo. La fine del bipolarismo mondiale e del comunismo storico (Preve rimarca più e più volte quelli che ne considera gli estremi anagrafici: 1917-1991) ha sconvolto il panorama della sinistra radicale (istituzionale e non) europea, costringendola a cercare una nuova strada; alcuni, come l’Autore, hanno scelto di rimanere fedeli all’ideale d’un mondo diverso e migliore, continuando a perseguirlo quale proprio obiettivo (non tutti col realismo di Preve, naturalmente), altri – che sono i più – dalla «utopia sociologica monoclassista proletaria» sono passati armi e bagagli alla sua antitesi, «l’individualismo postborghese ed ultracapitalistico».
Ho potuto in questo caso avvalermi di citazioni tratte dall’opera, poiché tale «rovesciamento dialettico» (come eufemisticamente lo definisce l’Autore) è una delle due tipologie del «nichilismo» contemporaneo (l’altra è «l’accettazione dell’americanismo come compimento destinale inesorabile della storia millenaria dell’Occidente») analizzate nei primi due capitoli di Filosofia e geopolitica, capitoli che ne costituiscono la parte “filosofica”. Secondo Preve la filosofia e la geopolitica – apparentemente così lontane tra loro – s’incontrano per necessità, costrette dal novello monismo ideologico che tenta d’imporsi come “pensiero unico”: è quello che l’Autore chiama «americanismo». Lo scenario filosofico del XXI secolo è dominato dal «nichilismo» o, meglio, «da una variante specifica e irripetibile di nichilismo, in cui dell’Essere appunto non è più nulla, e questa distruzione non solo della “metafisica” (termine con cui impropriamente si indica il riferimento trascendente e religioso dei valori etici e politici) ma anche della “ontologia” (termine che indica invece in modo abbastanza corretto la fondazione razionalistica dei valori individuali e sociali in una visione dialogica condivisa della natura umana e del suo destino storico) è vista come un grande progresso civile, umano e scientifico» (pag. 15). In quest’ottica, Preve conduce una serrata critica dell’escatologismo nordamericano, e in generale d’ogni lettura teleologica della storia dell’Occidente. Ma particolarmente interessante è il secondo capitolo, quello nel quale, tentando di spiegare le ragioni del già citato «rovesciamento dialettico» dal marxismo all’americanismo, riprende e sviluppa un discorso iniziato nel capitolo precedente sui caratteri della società statunitense. Egli ne riconosce due aspetti fondamentali (che riescono a esercitare fascino sulle altre culture): «il suo segreto sociale massimo e principalissimo nell’essere un capitalismo senza classi sociali» (pag. 16), e l’essenza di «spazio geografico, storico e simbolico di “possibilità illimitate” di tipo individuale» (pag. 30). Il primo elemento, in particolare, costituisce una teoria originale e affascinante, cui Preve dedica molto spazio individuandola come spinta fondamentale al passaggio dal marxismo all’americanismo.
La seconda parte dell’opera è quella dichiaratamente “geopolitica”. Qui l’Autore sviluppa in via (suppongo) definitiva la sua indagine condotta con «metodo contrastivo» (fattore che ne determina l’originalità) sulle ipotesi “eurocentrica”, “euroatlantica” ed “eurasiatica”. Preve considera la prima teoria vanificata dal «doppio suicidio dell’Europa», cioè dalle due guerre mondiali; ad ogni modo, egli non nasconde una certa attrazione per l’europeismo, individuandone il principale e migliore sostenitore nel Generale de Gaulle, il quale «crede nella Francia […] ma sa anche bene che la Francia non può e non deve pretendere di essere “superiore” alla Germania e alla Russia, perché sulla base di una pretesa di superiorità non si può costruire una vera e propria “Europa delle nazioni”» (pag. 81), nella quale lo stesso Preve afferma di credere, a patto che si sviluppi «in simbiosi con l’euroasiatismo» (pag. 82). L’analisi dell’ipotesi euroatlantica offre invece l’occasione d’osservare più nello specifico il fenomeno dell’americanismo. L’Autore distingue tra un “americanismo interno” ed un “americanismo esterno”. L’americanismo interno, «o americanismo rivolto esclusivamente al popolo eletto degli Stati Uniti d’America, è una ideologia messianica di una missione speciale assegnata dal Dio biblico veterotestamentario protestantico-sionista ad un popolo specifico, e solo a quello» (pag. 86). L’altro è invece l’americanismo «di esportazione», che si manifesta diversamente nel mondo, dovendosi adattare alle culture locali per plasmarle secondo «un modello di esportazione di un capitalismo individuale dei consumi (ovviamente diversi per livello di reddito e di potere d’acquisto), e non di un capitalismo gerarchizzato delle classi e dei ceti». La sua forza – prosegue Preve – «è anche di porsi integralmente al di là dell’obsoleta dicotomia europea fra Destra e Sinistra, in quanto ha metabolizzato nella sua identità sia elementi di destra che di sinistra, e cioè la competizione agonale (destra) e l’egualitarismo culturale (sinistra)» (pag. 87). Essendo da oltre un decennio decaduti i presupposti dell’impari “alleanza atlantica”, l’Autore si chiede da dove nasca «questo scandaloso “servilismo autonomo”», e per darsi una risposta – fermi restando i due elementi di cui sopra – compie un veloce excursus sulle principali culture politiche nazionali dell’Europa. Viene ultima, ma non perciò meno importante, la trattazione dell’ipotesi eurasiatica, il cui principale argomento è che «mentre l’americanismo, a causa del suo carattere messianico ed espansivo, mette in mortale pericolo l’identità culturale europea, questo non avviene per l’eurasiatismo, perché la Russia (che fa comunque parte integrante dell’Europa, sia pure con alcune modalità particolari), e ancor più la Cina, l’India, i paesi dell’Asia Centrale e il Giappone non sono dotati di una natura “cannibalica” espansiva, e possono diventare partners eguali e non diseguali dell’Europa» (pag. 107). Questo quinto ed ultimo capitolo si chiude con una vera e propria (benché sintetica) disamina delle possibilità geopolitiche d’un blocco continentale, condotta con grande oggettività e realismo, nonché con una competenza per certi versi inaspettata in un filosofo. Concludono l’opera un epilogo e una nota bibliografica generale sviluppata in forma discorsiva.
Filosofia e geopolitica è un saggio prevalentemente orientato verso il primo di questi due ambiti – cosa che non è né sorprendente né spiacevole, essendo l’Autore un noto studioso di filosofia. Questo fatto, e alcuni brani citati nel corso della recensione, potrebbero far pensare all’opera come a un libro molto specialistico e complesso, adatto solo agli addetti ai lavori. Ciò sarebbe errato, poiché – per quanto una competenza almeno di base in materia filosofica aiuti nella comprensione – Costanzo Preve possiede la dote di esprimersi in un linguaggio piano, semplice e lineare, senza eccessi formali o d’erudizione, e di tale dote fa un ampio uso in questo saggio. Esso, inoltre, è condito di frequenti e stimolanti disgressioni – sempre funzionali al discorso centrale e mai dispersive – e d’una buona dose d’ironia, capace di rendere ancora più piacevole la lettura dell’opera.
(D. Scalea, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, 3/2005)