Introduzione a “Écrits Révisionnistes”
Le Edizioni all’insegna del Veltro hanno pubblicato la traduzione italiana dell’introduzione agli studi revisionisti di Robert Faurisson. È quanto mai opportuna la pubblicazione di questo volume in un momento in cui l’intolleranza verso la cultura antagonista diventa sempre più feroce e determinata, come ha mostrato il caso di David Irving, che dovrebbe far riflettere le coscienze libere su quale sia la natura della «libertà d’opinione» nella democrazia moderna. L’introduzione di Faurisson fa il punto sullo stato della ricerca storica cosiddetta «revisionista» in merito al tema della persecuzione antiebraica da parte dei regimi fascisti.
Sul piano scientifico la storiografia revisionista ha ottenuto una vittoria totale smascherando molte delle mitologie create attorno al tema dell’«Olocausto», sia per quanto riguarda il numero delle vittime, sia per le modalità con cui sarebbe stato condotto lo sterminio. Inoltre la disponibilità di materiale attraverso internet rende possibile aggirare, almeno in parte, l’apparato della censura che vigila sui dogmi democratici. Tuttavia, nonostante questi successi, man mano che ci si allontana dagli avvenimenti della seconda guerra mondiale, la repressione contro gli storici revisionisti diviene sempre più soffocante, e non mancano i casi di studiosi che hanno raccolto un’imponente mole di documenti e le cui biblioteche sono state condannate… al rogo! Esattamente come avrebbe fatto la Santa Inquisizione nei secoli passati. Episodi di questo tipo dimostrano quanto la democrazia occidentale tenda ad assumere il carattere di una teocrazia ebraica. Lo stesso Faurisson è stato privato della cattedra universitaria per decisione ministeriale non motivata, ed ha subito aggressioni fisiche da parte di milizie armate (Faurisson afferma che in Francia gli ebrei hanno il privilegio di formare milizie armate con l’assenso del Ministero dell’Interno!). Come se non bastasse, è stato accusato per reati d’opinione e condannato più d’una volta nei tribunali della «democratica» Francia.
Nonostante la via crucis che ha dovuto sopportare, Faurisson è ancora convinto che la tattica migliore della storiografia revisionista sia quella dell’attacco frontale: gli avversari non se l’aspettano e ne rimangono disorientati, poiché sono incapaci di comprendere le motivazioni di studiosi spinti soltanto dall’onestà intellettuale, e non da un tornaconto economico o politico, mentre la storiografia «ufficiale» ha essenzialmente il compito di tutelare gli interessi del sionismo.
Faurisson analizza, oltre alle difficoltà di carattere legale della battaglia revisionista, anche quelle di tipo ideologico e culturale. Infatti il mito dell’Olocausto, inculcato da una propaganda martellante, è ormai accettato dall’opinione pubblica in modo assolutamente acritico, ed ha assunto il carattere di una superstizione religiosa. Di conseguenza i brillanti risultati scientifici ottenuti dal revisionismo, oltre ad essere osteggiati dalla censura della cultura «ufficiale», vengono difficilmente recepiti dal pubblico dei lettori appassionati di storia.
Il futuro certamente non lascia presagire nulla di buono per chi vuole diffondere una cultura alternativa, e la «democrazia» ha ancora un lungo cammino da fare per garantire un livello accettabile di libertà d’opinione. Faurisson ritiene che chi vorrà affrontare la strada della storiografia revisionista, dovrà avere «l’eroismo di Antigone e una singolare abnegazione», e conclude esortando al «dovere di resistere» e ricordando che il compito dello storico è quello di far luce sulla verità e non di incaricarsi della «vendetta dei popoli» e, ancor meno, della vendetta di un popolo che si pretende eletto da Dio.
Michele Fabbri, “Rinascita”, 21 maggio 2006