Terrorismo sintetico
Il quinto anniversario degli attentati dell’11 settembre ha segnato un chiaro spartiacque all’interno della vicenda che più di ogni altra sta condizionando tutto ciò che avviene nel mondo da quel giorno.
Si è infatti conclusa, almeno a grandi linee, la tormentata fase “investigativa”, condotta in ogni angolo del globo dai cosiddetti ricercatori dell’undici settembre: dozzine e dozzine di spassionati “detectives in pantofole” – persone di ogni ceto, nazionalità e professione – seduti instancabilmente davanti ai loro monitor, in perenne contatto fra di loro, che sin dal primo giorno hanno analizzato, verificato e rivoltato come un guanto ogni singolo aspetto della versione ufficiale dei fatti, fino a metterne in luce una sostanziale incongruenza complessiva. A costoro si è poi aggiunta, nel corso dell’ultimo anno, la preziosa collaborazione di un gruppo di personaggi di indiscussa levatura professionale, scientifica e morale (quali il teologo David Ray Griffin, o il cattedratico di Fisica Steven Jones), che ha permesso di legittimare anche a livello di informazione ufficiale i risultati della ricerca svolta in precedenza.
Nessuno di noi saprà mai con precisione che cosa è successo quel giorno, ma almeno oggi possiamo stabilire, con relativa certezza, che cosa non è successo: nessun Boeing 757 ha mai colpito il Pentagono, nessun Boeing 757 è mai stato abbattuto dagli “eroici passeggeri” in un campo della Pennsylvania, e le Torri Gemelle non sono affatto crollate da sole, come ci è stato detto, a causa dei soli impatti degli aerei e degli incendi che ne sono conseguiti.
In altre parole, la versione ufficiale pare essere una mastodontica finzione, costruita per coprire un autoattentato nel quale le autorità americane avrebbero avuto, nella migliore delle ipotesi, una complicità solo parziale.
Per quanto a prima vista inaccettabile – chi di noi non ha pensato, almeno una volta, che “gli americani non si farebbero mai una cosa del genere da soli”? – questa conclusione è ormai suffragata da una lista di indizi impietosamente lunga e dettagliata, la qual cosa conferma che il vero “problema undici settembre” è di carattere psicologico.
È la nostra ingordigia – di benessere, di petrolio, di potere e di felicità artificiale – a creare i presupposti per un nemico che ci autorizzi ad andarci a prendere ciò che ci serve per appagarla, senza per questo dover riconoscere che stiamo derubando il legittimo proprietario.
Lapsus freudiano o calcolo che fosse, non si può infatti dimenticare la frase pronunciata da Bush all’alba dell’invasione dell’Afghanistan: “The American standard of life is not in discussion”. Lo standard di vita americano non è in discussione.
Ma accettare l’ipotesi dell’autoattentato significa anche accettare che il nemico non è più “là fuori” – feroce e spietato finché vuoi, ma sempre riconoscibile e ben identificabile – ma è dentro di noi. È fra di noi, è fatto come noi, e agisce contro di noi. È questo baratro di insicurezza, umanissimo e comprensibilissimo, che spesso ci impedisce di guardare con lucidità ad una serie di elementi che in altre situazioni basterebbero per mandare all’ergastolo sette generazioni di criminali.
Ecco quindi, anche, la radice di quel testardo meccanismo di diniego, che porta persone di provata intelligenza ad apparire come dei poveri mentecatti, incapaci di riconoscere ciò che a mente sgombra dovrebbe risultare ovvio per chiunque.
Significativa, in questo senso, è stata la testimonianza di David Ray Griffin al recente Convegno Internazionale di Bologna sull’undici settembre: “Io sono arrivato tardi sulla scena – ha raccontato lo studioso americano – Inizialmente un amico mi sottopose queste ‘teorie alternative’, ma dopo una rapida occhiata le respinsi come assolutamente inaccettabili. Solo dopo che mi furono sottoposte di nuovo, e con una certa insistenza, cominciai a vedervi qualcosa di sensato. A quel punto, in soli due giorni recuperai tutto il terreno perduto, e di colpo vidi chiara l’immagine di quello che era davvero successo quel giorno”.
Come dicevamo, una volta superato l’ostacolo psicologico, una volta accettata la mera possibilità che un crimine del genere sia opera di “gente come noi”, la montagna di indizi contro la versione ufficiale si rivela semplicemente disarmante.
Se quindi il lettore si trovasse a provare un rifiuto istintivo, “categorico”, per la materia qui trattata, si conceda almeno la possibilità di una seconda valutazione dei fatti, da effettuare quando si sentirà magari più disposto ad accettarne anche le pesantissime implicazioni.
Non è stato facile per nessuno, credetelo.
Massimo Mazzucco
Los Angeles, 11 settembre 2006